sabato 24 maggio 2008

24 MAGGIO

Il 24 maggio 1915, dopo aspri scontri tra “neutralisti” e “interventisti”, il Regno d’Italia dichiarò infine guerra all’Impero austro‐ungarico degli Asburgo (disconoscendo in tal modo la Triplice Alleanza firmata nel 1882). La divisione all’interno del Paese per la decisione dell’entrata in guerra – che rispecchiava ovviamente anche una divisione politica – e l’ostilità tra le due correnti si mantennero anche negli anni seguenti e portarono a conseguenze talvolta assurde: i clericali, per esempio, furono costantemente associati ai socialisti nelle furibonde polemiche della stampa e dei gruppi politici interventisti e considerati dalle autorità politiche e militari come dei nemici potenziali e sottoposti a varie misure di vigilanza.
L’Altipiano dei Sette Comuni e tutta la zona di Luserna e Lavarone divennero così zona di guerra; i Cimbri veneti si ritrovarono sul fronte italiano e i Cimbri trentini su quello austriaco:

    Quella del 1915 fu dalle nostre parti una primavera molto bella, la neve con le piogge di marzo, si era sciolta molto in fretta, e pareva proprio che più di ogni altro anno passato la chiamata della primavera con i suoni dei campani e i falò sullo Spilleche e sul Moor avesse svegliato in anticipo la vegetazione [...].
    La mattina di buon’ora del giorno 24 Tönle aveva guidato le pecore verso i soliti pascoli; poi si sedette ad accendere la pipa e a godersi il giorno. Sentì dapprima come un brontolio per il cielo, poi uno scoppio lontano. Si alzò in piedi e guardò attorno; non vide niente ma ancora sentì quel brontolio e lo scoppio ripetersi, e susseguirne altri più numerosi. Allora capì: era cominciata la guerra e i forti del Campolongo e del Verena sparavano a quelli di Luserna e di Vezzena.
Alle 3,55 era partito dunque da forte Verena il primo colpo di cannone che aveva annunciato l’apertura delle ostilità tra il Regno d’Italia e l’Impero austro‐ungarico.
    Per la prima volta, dal 1866, in quell’estate non si fece contrabbando tra le nostre montagne e la Valsugana, né gli emigranti presero la strada dei menadori ora che i tirolesi, che una volta davano loro ospitalità nelle pause del viaggio, erano mobilitati nei battaglioni degli Standschützen che difendevano i confini. [...]
    Anche far pascolare verso i confini era interdetto, e per la prima volta da secoli una decina di malghe non vennero monticate. I paesani che non erano stati richiamati per la guerra, ossia gli anziani sui cinquant’anni e i giovani tra i quattordici e i diciannove, erano stati ingaggiati come operai militarizzati nei lavori di trinceramenti e nella costruzione di strade; e per le carreggiate che si inerpicavano per i fianchi dei monti e non esposte all’occhio del nemico venivano trainati a forza di braccia i grossi cannoni da 149 che venivano poi messi in batteria nelle postazioni sommariamente difese con tronchi di abete, tavoloni di larice e sacchetti di terra.
[...] Nel complesso, le perdite italiane negli anni di guerra ammontarono – al 1918 – a 571.000 soldati morti (di cui 402.000 in combattimento e 169.000 di malattia), 451.645 invalidi e oltre mezzo milione di feriti; considerando però anche i morti in conseguenza della guerra, i dati ufficiali al 1925 valutarono il numero complessivo dei soldati morti in 652.000 (dei quali circa 100.000 soldati prigionieri morti in paese nemico o non più rientrati in Italia).
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(dalla -mia- tesi di laurea Nicevo, La Storia dell’Altipiano di Asiago nelle storie di Mario Rigoni Stern, 2005. Le citazioni sono da Mario Rigoni Stern, Storia di Tonle, 1978)

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